Scoperta una relazione tra il grasso viscerale e la malattia di Alzheimer: la scoperta e l’intervento precoci sono cruciali

Scoperta una relazione tra il grasso viscerale e la malattia di Alzheimer: la scoperta e l’intervento precoci sono cruciali

Nuove ricerche presentate durante il meeting annuale della Radiological Society of North America (RSNA) hanno rivelato una significativa relazione tra una maggiore quantità di grasso viscerale addominale in mezza età e lo sviluppo della malattia di Alzheimer. Il grasso viscerale si riferisce al grasso che circonda gli organi interni profondamente nel ventre. Questo grasso addominale nascosto è stato associato a cambiamenti nel cervello fino a 15 anni prima dell’insorgenza dei sintomi di perdita di memoria caratteristici della malattia di Alzheimer.

La malattia di Alzheimer colpisce milioni di americani, con un previsto aumento fino a quasi 13 milioni entro il 2050. Per comprendere e individuare precocemente i rischi di Alzheimer, i ricercatori hanno condotto uno studio che ha valutato l’associazione tra i volumi di MRI cerebrale, l’assorbimento di amiloide e tau nelle scansioni PET e l’indice di massa corporea (BMI), l’obesità, la resistenza insulinica e il tessuto adiposo addominale in una popolazione di mezza età.

Lo studio ha rilevato che un rapporto più elevato tra grasso viscerale e grasso sottocutaneo era associato a un maggiore assorbimento di traccianti PET dell’amiloide nella corteccia precuneus, una regione nota per essere colpita precocemente dalla patologia dell’amiloide nella malattia di Alzheimer. La relazione sembrava essere più pronunciata negli uomini. Inoltre, misurazioni più elevate di grasso viscerale erano associate a un aumento dell’infiammazione nel cervello.

Questi risultati hanno importanti implicazioni per una diagnosi e un intervento più precoci. Lo studio mette in evidenza come il grasso nascosto possa aumentare il rischio di malattia di Alzheimer e dimostra che questi cambiamenti cerebrali possono verificarsi già a partire dall’età di 50 anni, fino a 15 anni prima dei primi sintomi di perdita di memoria. Mirare al grasso viscerale come modalità di trattamento potrebbe aiutare a modificare il rischio di infiammazione cerebrale e demenza in futuro.

Questa ricerca fornisce una migliore comprensione del motivo per cui la distribuzione del grasso corporeo gioca un ruolo nell’aumento del rischio di malattia di Alzheimer. Concentrandosi sulla distribuzione anatomica del grasso corporeo utilizzando l’MRI, questo studio offre preziose informazioni sulle potenziali strategie di prevenzione e trattamento.

Domande frequenti (FAQ)

D: In che modo il grasso viscerale è diverso dal grasso sottocutaneo?
R: Il grasso viscerale è il grasso che circonda gli organi interni profondamente nel ventre, mentre il grasso sottocutaneo si trova direttamente sotto la pelle.

D: Come possono elevate quantità di grasso viscerale aumentare il rischio di malattia di Alzheimer?
R: Le secrezioni infiammatorie del grasso viscerale, a differenza degli effetti potenzialmente protettivi del grasso sottocutaneo, possono portare a infiammazione nel cervello, che è uno dei principali meccanismi che contribuiscono alla malattia di Alzheimer.

D: Gli uomini o le donne sono più colpiti dalla relazione tra grasso viscerale e malattia di Alzheimer?
R: Lo studio ha scoperto che la relazione tra grasso viscerale e depositi di amiloide nel cervello era più pronunciata negli uomini rispetto alle donne.

D: Quali sono le implicazioni di questa ricerca per la diagnosi e l’intervento per la malattia di Alzheimer?
R: Questa ricerca sottolinea l’importanza della diagnosi e dell’intervento precoci per la malattia di Alzheimer. Mirando al grasso viscerale come obiettivo di trattamento, potrebbe essere possibile modificare il rischio di infiammazione cerebrale e demenza.

D: Quanto presto è possibile rilevare i cambiamenti cerebrali correlati alla malattia di Alzheimer?
R: Lo studio suggerisce che i cambiamenti cerebrali associati all’Alzheimer possono essere osservati già a partire dall’età di 50 anni, fino a 15 anni prima dell’insorgenza dei primi sintomi di perdita di memoria.

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